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La frazione di Pinié

La frazione di Pinié +39 0437.523333 info@alleghe-dolomiti.it www.alleghe-dolomiti.it

Piniè sorge a circa 1300 metri di altitudine sul versante che dalla sponda sinistra del Cordevole, delimitato dai torrenti Ru de Pesorcia e Ru de Sopis, sale verso il Col de Davagnin.

Sullo stesso versante incontriamo in successione Dorich, Perencina e Col de Fontana.

Piniè è quindi l’ultimo agglomerato oltre cui non si trovano altre abitazioni. Pare che proprio questa caratteristica sia all’origine del nome della frazione, l’assonanza infatti richiama agli avverbi “più niente”. Se si va a verificare l’ubicazione di altre località con lo stesso nome o similare per esempio nel Cadore o nel Trentino, troviamo che anch’esse occupano una posizione terminale di un pendio o di una valle oltre cui non compaiono vecchi edifici abitativi.

Piniè, come del resto molte altre frazioni alleghesi, è composta di poche case aggrappate al ripido pendio, per lo più molto vicine le une alle altre. È evidente l’intento dei fondatori di utilizzare meno spazio possibile per costruire a vantaggio delle aree destinate all’agricoltura e al pascolo, indispensabili ad un’economia di sussistenza.

Tali occupazioni erano peraltro affiancate da un artigianato “familiare” sia maschile che femminile, volto perlopiù alla costruzione e manutenzione di utensili da lavoro o di uso quotidiano, anche se Piniè aveva il suo artigiano professionista: Menego Menagol ottimo calzolaio esperto nella riparazione di manufatti in pelle e cuoio.

Nell’estate del 1975 un fulmine causò a Piniè un incendio devastante e si racconta che Menego, abbandonati gli arnesi da lavoro, abbia difeso la sua casa dalle fiamme, brandendo il suo crocifisso: immagine sacra immancabile in ogni “stua”.

 La costruzione più antica della frazione è senz’altro il “casal” risalente al 1647, anche se prima di questa data esisteva già un edificio utilizzato per il ricovero delle pecore. Edificio ancora esistente, oggi diventato casa di vacanza e un tempo già trasformato da stalla in cucina. I suoi proprietari preparavano e consumavano i pasti qui, mentre per dormire uscivano all’aperto, salivano una scala in legno, percorrevano un lungo ballatoio e infine entravano nelle loro camere da letto ubicate in un altro edificio: facile d’estate, problematico d’inverno quando non era raro risvegliarsi con lo spettacolo indesiderato di un’abbondante nevicata.

Il “casal” invece potrebbe essere tranquillamente paragonato ad un moderno condominio perché in quella grande cosa, oggi in decadenza, vivevano in comunione almeno quattro famiglie, spesso dividendo la cucina dove, sopra il “larin” pendevano perciò due catene: un unico fuoco per due paioli, due polente, due diverse famiglie con molte bocche da sfamare. Difficile andare d’accordo eppure questa era la vita quando la casa era considerata più che altro un rifugio.

La vita comunitaria si svolgeva altrove, nei campi e nei prati oppure nelle stalle dove d’inverno ci si ritrovava per il “filò”, approfittando del calore emanato dalle bestie e dalle persone. La comunità entrava nelle case solo nell’eventualità di vita o di morte: per un lieto evento o per una triste dipartita. La vita e la morte erano una costante di quei tempi lontani ed erano entrambe vissute con arcaica naturalezza.

Le necessità altrui erano percepite con senso del dovere e perciò quando c’era da fare qualcosa di pubblica utilità, tutti, sotto la guida del capo villa democraticamente designato, erano chiamati a fare la propria parte; lo stesso valeva per le attività private in cui ci si aiutava, non tanto per solidarietà, ma più per abitudine: consuetudine molto efficace anche se causa di qualche diatriba. Era infatti normale litigare, anche pesantemente fino ad arrivare alla denuncia e alla convocazione in pretura dei contendenti.

Solitamente l’oggetto delle liti era qualcosa che aveva a che fare con la proprietà, magari un albero cresciuto al limite di un confine capace di scatenare un mezzo putiferio. Allora Piniè si animava: volavano insulti, si alzavano le mani e a volte si usavano perfino i denti.

Non a caso per la piazzetta comunale costruita nel ‘71 qualcuno aveva simpaticamente suggerito il nome “Piazza Cannibali”. Un suono che ricorda quello di Piazza Kennedy, la piazza principale di Alleghe, ma che più che altro ironizzava sulle liti furibonde dei “Cian da Piniei” (cani da Piniè – nome con cui vengono ancora oggi indicati gli abitanti di questa frazione). Poche case, certamente povere ma ricche di persone, tutte con gli stessi nomi, quelli che andavano di moda in passato, quelli dei santi e della Madonna, perciò era inevitabile l’uso dei soprannomi.

Ogni famiglia ne possedeva uno che non compariva nei documenti ufficiali, ma che di fatto era più importante perfino del cognome: era l’unico modo per distinguere un Nani o una Maria da un altro Nani o un’altra Maria. E così tra quelle poche case ritroviamo ancora oggi, come antichi nomi di nobili casare i Gosaldi, i Menagoi, i Trigoi, I Kaizer, i Siori, i Gin, i Cauč, i Crostoi, i Bagoč, i Cochi e i Corinti.

Identificazioni che negli anni sono emigrate altrove, ma non si sono mai del tutto estinte, anche se a Piniè ormai i residenti storici sono davvero pochi, sostituiti spesso da gente venuta da fuori e innamoratasi di questo luogo incantato, sospeso tra un passato ormai lontano ed un presente ricco di selvaggia bellezza.

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