La chiesa di San Mamante, piccolo santuario situato nei pressi di Caleipo, fu edificata intorno alla metà del XIII secolo per un voto dei bellunesi. Il santo venne scelto come protettore contro animali selvatici e pestilenze infantili. La prima menzione documentaria della chiesa risale al 1289. Nel tempo divenne meta di pellegrinaggi, soprattutto da parte di madri in cerca di intercessione per l’allattamento dei figli.
Durante il XVI secolo, sotto l’impulso del pievano e umanista Pierio Valeriano, la chiesa fu ampliata: vennero aggiunti un’abside con cupoletta e rifugi per i pellegrini. Le offerte dei fedeli permisero l’abbellimento della chiesa con statue, arredi e affreschi attribuiti a Pomponio Amalteo o Nicolò De Stefani. Importanti tele raffiguranti episodi della vita del santo furono dipinte da Francesco Frigimelica il Vecchio.
Il culto popolare si concentrava anche attorno alla fonte “Loda”, sorta miracolosamente accanto alla chiesa durante la sua costruzione. L’acqua, ritenuta miracolosa, era usata per stimolare la lattazione e curare i malati. Ancora oggi la fonte è meta di devozione.
Il culto di San Mamante (o Mamete), martire del III secolo, ha origini bizantine ed è diffuso anche in Italia. Secondo la leggenda, il santo visse in solitudine tra gli animali selvatici che lo ascoltavano come discepoli, fino al martirio. Un’altra versione narra che nacque in carcere, fu adottato da una nutrice e trafitto al petto da un tridente.
La devozione popolare ha generato molte leggende legate a miracoli e prodigi, tra cui bambini nutriti grazie all’intercessione del santo e castighi simbolici per chi ne metteva in dubbio i poteri. Fino al XVIII secolo si celebrava una famosa sagra il 17 agosto con celebrazioni religiose e festeggiamenti civili, che però col tempo declinarono.
Oggi San Mamante resta un luogo ricco di spiritualità e memoria collettiva, dove fede, tradizione e leggenda si fondono in un racconto popolare profondamente radicato nel territorio bellunese.