Preistoria
La zona del comune di Farra d'Alpago era abitata fin dalla fine del Paleolitico superiore (circa 10.000 anni fa), come dimostrano gli scavi iniziati nel 1993 a Palughetto (vicino a Campon). Sono state recuperate centinaia di schegge di selce, alcune delle quali trasformate negli strumenti che servivano a scarnificare e depezzare le carcasse animali, a lavorare la pelle, il corno, l'osso e il legno; tra i più caratteristici citiamo i bulini, i grattatoi, i raschiatoi e i coltelli a dorso. Poi vi erano altri tipi estremamente specializzati, in quanto adoperati per la fabbricazione di armi, soprattutto frecce impiegate nelle attività venatorie Il ritrovamento più rilevante è sicuramente la riserva di selce, una buca subcircolare che conteneva 6 blocchi di selce. Sul versante occidentale del Piano del Cansiglio, presso Casera Lissandri, è stato ritrovato un insediamento mesolitico. i reperti (manufatti di selce) sembrano riferibili ad un accampamento di cacciatori databile tra 9.400 e 8.600 anni fa. Altri insediamenti della stessa età sono stati scoperti poco più a monte di quello principale, ma anche a qualche centinaio di metri di distanza, verso le Casere Davià oppure in direzione del villaggio dei Pich.
Lo scavo del sito di Casera Lissandri (dal sito www.alplab.it):
L’insediamento umano nel territorio bellunese ed in particolare della conca dell’A lpago risale ad epoca piuttosto antica, infatti tracce sporadiche lasciate dai neanderthaliani sull’Altopiano del Cansiglio possono essere attribuite ad almeno 20.000 anni prima dell’Ultimo Massimo Glaciale e non si può escludere che esse si possano spingere ancora oltre nel tempo, durante i periodi interglaciali, quando l’altopiano era coperto di boschi ed offriva già varie risorse alimentari.
Testimonianze della frequentazione antropica di questo ambiente durante il periodo di passaggio tra l’Ultimo Massimo Glaciale e l’Olocene antico (quindi tra i 20.000 e 10.000 anni fa), in relazione ai profondi cambiamenti climatici e del paesaggio avvenuti durante questa fase, provengono principalmente dal bacino lacustre e torboso del Palughetto, sull’orlo settentrionale dell’Altopiano, a 1040 m di quota, e dall’insediamento del Bus de la Lum, a circa 995 m di quota. Quest’ultimo è posto nei pressi della tristemente nota forra, su una delle alture del Cansiglio orientale, in posizione rilevata rispetto alle depressioni carsiche circostanti ed è stato scelto appositamente per installare l’accampamento, i cui resti sono rappresentati esclusivamente da selci lavorate, mentre altri elementi archeologici come i resti ossei degli animali cacciati, gli strumenti fabbricati con ossa e palco di cervide, o realizzati su materiali calcarei non si sono conservati. La produzione di manufatti di selce è ben attestata (oltre 4000 strumenti) e rappresenta la prima testimonianza in Cansiglio del processo di colonizzazione dei territori prealpini da parte dei cacciatori-raccoglitori riferibile alla fine del Paleolitico Superiore, ovvero circa a 12.000 anni dal presente.
Altre caratteristiche conserva il sito del Palughetto, che a seguito di uno scavo molto accurato, si è rivelato quale uno straordinario archivio paleoambientale, dotato di una ricchissima stratigrafia che documenta la progressiva riforestazione dell’ambiente circostante durante il tardiglaciale. Esso conserva inoltre uno strato archeologico posto in corrispondenza delle torbe più recenti, cui si accompagna l’insieme litico rinvenuto sulla morena antistante la torbiera, che documentano l’accampamento di cacciatori-raccoglitori risalente alla fase finale del Paleolitico Superiore (circa 10.000 anni fa); la presenza di una zona umida, come poche ce ne sono in Cansiglio, aveva evidentemente indotto i gruppi di cacciatori epigravettiani a sceglierla quale zona ideale dove accamparsi. Il rinvenimento più interessante all’interno della torbiera è rappresentato invece da una riserva di materia prima non lavorata (selce proveniente dall’Alpago e dalla Valle del Piave), conservata dai previdenti cacciatori paleolitici che si recavano in Cansiglio consci della povertà di selce idonea alla scheggiatura di questo territorio, e volevano essere sicuri nel trasportare materiali di qualità senza incappare in sgradite sorprese proprio al momento del bisogno, a dimostrazione di quanto fosse profonda per le genti di quel tempo la conoscenza dei nostri territori.
Grazie alle sue peculiari caratteristiche morfologiche, il fianco occidentale del Pian Cansiglio ha favorito l’occupazione antropica dell’a rea durante un’ epoca più recente, quando le vicende climatiche del Postglaciale hanno permesso la riforestazione del versante, a corona dei campi da caccia e degli accampamenti residenziali mesolitici. Sono infatti venute alla luce numerose evidenze archeologiche, distribuite lungo il settore medio-inferiore del versante, in posizioni rilevate rispetto alle vallecole locali; l’e levata concentrazione di siti, una trentina circa nel complesso, è compresa lungo una stretta fascia altimetrica tra i 1050 ed i 1080 m, dove le migliori condizioni di conservazione hanno permesso il rinvenimento dei materiali. Solo alcuni di tali insediamenti mesolitici, ascrivibili grossomodo ad un periodo compreso tra i 10.000 e gli 8.000 anni dal presente, sono stati indagati in maniera approfondita tramite attività di scavo ed hanno restituito numerosi reperti in selce, dalla cui analisi è stato possibile sviluppare un inquadramento culturale e formulare alcune ipotesi sul significato funzionale di questi siti. In questo senso l’insediamento di Casera Davià si può probabilmente interpretare come un accampamento residenziale, ove la varietà tipologica degli strumenti e delle materie prime sfruttate rimanda alle numerose attività praticate dai gruppi di cacciatori-raccoglitori del Mesolitico antico (Sauveterriano) che qui si erano stanziati. Il vicino sito all’aperto di Casera Lissandri presenta una documentazione archeologica ben più corposa, nonostante si tratti sempre solo di manufatti in selce: lo scavo ha messo in evidenza un’a rea circolare ad alta densità di manufatti litici circondati da una fascia relativamente più povera, che potrebbe indicare la posizione di una capanna. Le caratteristiche tipologiche e tecnologiche dei reperti rimandano alla fase media del Mesolitico antico e suggeriscono la pratica nell’a ccampamento di varie attività produttive come la lavorazione delle pelli, l’incisione e perforazione di materiali duri, il taglio e la macellazione degli animali oltre alla fabbricazione delle armature. Infine il sito di Casera Lissandri XVII, probabilmente contemporaneo a Lissandri I, è caratterizzato dalla presenza di un discreto numero di manufatti in selce funzionalmente legati all’attività venatoria, che sembra essere indicativo di un piccolo bivacco di caccia di breve durata, abitato da uno o più cacciatori dediti all’apprestamento delle proprie armi.
Epoca Pre-Romana
Dalla fine dell'età del Bronzo, con flussi migratori a ondate successive a partire dalla fine dell’ XI secolo A.C., si assiste all'influenza politica e culturale dei popoli paleoveneti (o Veneti Illiri, etnia di origine anatolico-balcanica), che lasciano tracce in Alpago, anche se non direttamente nel comune di Farra, quali le "torques" (bracciali e collane rigide di bronzo o ambra) a globetti, e placche di cinturoni decorate. Questi ritrovamenti denotano un'influenza anche da parte delle poplazioni celtiche presenti a Nord ed Est delle Alpi.
Epoca Romana
L'Alpago ai primordi di Roma Imperiale (44 A.C.), sotto Cesare Ottaviano Augusto, era compresa nella X Regione d'Italia che si Chiamava "La Venezia ed Istria" alla quale era stata conferita la cittadinanza romana nell'anno 88 A.C.. Sulla sponda occidentale del Lago di S. Croce, chiamato dai latini Lapacinus o Lapacinensis (o Lacus Piso o Lacus Pasinus), nome da cui trae origine il toponimo Alpago (Lapacum) passava una via romana che collegava la Claudia Augusta Altinate presso Ponte nelle Alpi a Treviso ed il Friuli, l'odierna Alemagna. Questa via era nota come Via Julia e dal XV secolo anche come Via Regia. L'imperatore Claudio (41-54 D.C.), per garantire il libero transito attraverso questi luoghi malfidi ed infestati da ribelli barbari e dar loro sicurezza fece innalzare due castelli nella Conca d'Alpago. In quel periodo fu in uso vrosimilemente anche un altro percorso, che da Caneva-Polcenigo (e forse da Aquileia), attraversando l'Altopiano del Cansiglio e l'Alpago, passava ai piedi del Castello di S. Giorgio di Socchèr e risaliva il Piave in riva sinistra fino a Castellavazzo. Negli "Statuti della Magnifica Città di Belluno" è ricordata come "Per viam de Campsilio de Alpago". I due ponti di pietra di ottima fattura che si trovano poco sopra la frazione di Buscole ne sono testimonianza.
Molti sono i topònimi romani rimasti in Alpago: "Cansiglio" deriverebbe da "Campus Silius" poichè secondo la leggenda il generale Silla piantò nell'altipiano un accampamento. Più probabilmente la vera etimologia è nel nome "Concilium", che significa "unità consortile dipendente dalla comunità di più paesi". Il Cansiglio fu lasciato a pascolo ai comuni limitrofi. Anche nome della località di Foràn ha origini romane: dal latino "foramen", vale a dire forra, apertura di grotta, anfratto. Proprio a Foràn, come anche in Piazzetta Comin, sono state rinvenute delle monete d'oro di epoca romana. In alcuni scavi fatti negli anni '60 per la creazione della rete fognaria nel borgo di Castel De Loto, sono stati scoperti tratti di acquedottodefinito romano, mentre nei primi anni del dopoguera sono stati ritrovati nelle adiacenze della chiesa parrocchiale alcuni archi e colonne fatti con pietra calcarea rossa. Il materiale più usato in quest'epoca è però la pietra proveniente dalle cave del Cansiglio: un calcare a grana grossa, di ottima qualità e ben lavorabile. Quasi tutte le lapidi romane iscritte trovate (compresa la pregiata lapide di Carminio Pudente) nel Bellunese (e parte di quelle del Feltrino) sono in pietra del Cansiglio. La via seguita per il trasporto era quella descritta precedentemente che passava per i ponti romani; giunti al Lago di S. Croce si passava al trasporto via acqua passando al torrente Rai ed al fiume Piave.
Intorno al IV secolo fu completata l'evangelizzazione delle nostre zone che sarebbe stata iniziata, secondo la tradizione alla fine del I secolo da S. Prosdocimo, vescovo di Padova e discepolo dell'apostolo Pietro. E' lecito supporre che per la sua situazione isolata e per la tenacia dei suoi abitanti, l'Alpago passò al cristianesimo assai più tardi delle città cosa comune a tutti che abitavano il pagus, dei villaggi romani lontani dai centri maggiori.
Le invasioni Barbariche
I primi barbari a comparire nella conca, eccettuati gli abitanti del Norico che effettuavano incursioni ai tempi di Ottaviano Augusto, furono i Goti di Teodorico, che occuparono i due castelli visti precedentemente e ne costruirono un altro nella zona del Bongaio, nella media valle del Tesa.
Il Medioevo (dal sito www.alplab.it):
Nell’Alto Medioevo non ha lasciato significative testimonianze la presenza, se pur accertata, di Ostrogoti; è tuttavia certo che in Alpago, come in zona di passaggio obbligata, vennero costruiti, o forse restaurati, dei castelli, per l’esigenza di bloccare tutti i passaggi che potevano lasciar calare i nemici verso la pianura. Sono pertanto attribuibili alle dominazioni di Goti e Alemanni i castelli dell’Alpago.
I Longobardi sono un popolo di origine scandinava, sceso in Italia nel 568 D.C.
E' a loro che Farra d'Alpago, come le altre Farra o Fara d'Italia, deve il suo nome. La Faralongobarda è un insediamento di famiglie e riserve non troppo esposte ai pericoli delle grandi strade. In Alpago la memoria dei longobardi si ha nelle due masserie o decanie che dividevano la regione (forse la stessa divisione adottata dalla repubblica veneta) in Alpago di Sopra e Alpago di Sotto (sotto o sopra il Tesa), dipendenti dalla Sculdascia di Bellunoe facenti capo nei due nuclei di Farra e Pieve. Farra faceva parte della decania di Pieve. Losfruttamento economico della regione si affidava alla difesa militare delle chiuse del Cansiglio e di Fadalto, a loro affidate, che mettevano in Friuli.
Al malgoverno dei Goti negli ultimi anni del loro regno, succedettero o saggi ordinamenti dei Longobardi. I Longobardi sono un popolo di origine scandinava, sceso in Italia nel 568 D.C. E' a loro che Farra d'Alpago, come le altre Farra o Fara d'Italia, deve il suo nome. La Fara longobarda è un insediamento di famiglie e riserve non troppo esposte ai pericoli delle grandi strade, o "insediamento di una comunità da viaggio longobarda", in quanto è chiara la connessione con il termine germanico "faran" (andare). I primi insediamenti dovettero essere nella zona più rialzata di Castel De Loto, in quanto ai piedi del col dei Piai erano frequenti le inondazioni provocate dai due torrenti Tesa e Runàl. Benchè a Farra non rimangano nè avanzi nè tradizioni di un maniero longobardico, se ne può tuttavia desumere l'esistenza dal nome appunto di Castel De Loto. Le ragioni politiche e militari che inducevano i longobardi a stabilire una loro unione di famiglie presso il Cansiglio collimavano con gli interessi economici rappresentati dalle sfruttamento degli estesissimi boschi, che andavano dalla parte nord-orientale dell'Alpago fino al bordo dell'altipiano sovrastante la pianura veneta e che si estendevano alle spalle del villaggio. I germanici ritrovavano in quest'angolo di bellunese l'ambiente che ricordava loro i luoghi di provenienza. Il posto era il più adatto alla utilizzazione della immensa foresta in quel tempo assai più vasta. Per le vicine acque del lago, la via naturale di trasporto, il traffico del legname era assai facilitato. Riunendo con poca spesa e fatica i tronchi degli alberi provenienti dal Cansiglio, e componendoli in zattere, essi li guidavano attraverso il lago e lungo il canale Rai, allora suo largo emissario, fino al Piave e quindi al mare.
In Alpago la memoria dei longobardi si ha nelle due masserie o decanie che dividevano la regione (forse la stessa divisione adottata dalla repubblica veneta) in Alpago di Sopra e Alpago di Sotto (sotto o sopra il Tesa), dipendenti dalla Sculdascia di Bellunoe facenti capo nei due nuclei di Farra e Pieve. Lo sfruttamento economico della regione si affidava alla difesa militare delle chiuse del Cansiglio e di Fadalto, a loro affidate, che mettevano in Friuli. Le due chiuse, dette di Abiciones, sono ricordate, con le decanie e il Cansiglio, un secolo e mezzo dopo la cessazione del dominio longobardico in Italia nel diploma di Berengario I imperatore e re che le donava, nel 923, insieme all'Alpago e al Cansiglio, ad Aimone Vescovo di Belluno.
Anche il toponimo Spert deriva dal longobardo "Asperht" (ed anche Broz, in comune di Tambre). In Alpago la memoria dei longobardi si ha nelle due masserie o decanie che dividevano la regione (forse la stessa divisione adottata dalla repubblica veneta) in Alpago di Sopra e Alpago di Sotto (sotto o sopra il Tesa), dipendenti dalla Sculdascia di Belluno e facenti capo nei due nuclei di Farra e Pieve. Lo sfruttamento economico della regione si affidava alla difesa militare delle chiuse del Cansiglio e di Fadalto, a loro affidate, che mettevano in Friuli.
Le due chiuse, dette di Abiciones, sono ricordate, con le decanie e il Cansiglio, un secolo e mezzo dopo la cessazione del dominio longobardico in Italia nel diploma di Berengario I imperatore e re che le donava, nel 923, insieme all'Alpago e al Cansiglio, ad Aimone Vescovo di Belluno . In questo documento è nominato per la prima volta come "laca Lapacinense" il lago di S. Croce. Anche il vocabolo "Svaldo" o "Svaldi", indicante fino al diciassettesimo secolo taluni beni comunali e rimasto fino ad oggi in qualche cognome, è di origine longobarda: deriva dalla sovrapposizione del germanico Wald e dal latino Silva, entrambi significanti Bosco. Usati contemporaneamente nel dialetto del popolo nei primi tempi dell'invasione longobardica, generarono un termine ibrido. Agli Svaldi di Farra appartenenva il Cansiglio ed una piccola zona a sud-est del'Alpago. Anche il nome Salatis, dato alla valle tra i monti Guslon e Messer, darebbe adito a ritenere che le fosse derivante da dimore sparse longobardiche o abitate da gente romana al servizio della fara longobarda, di cui restano le vestigia nelle case Caotes, Tona, Malon e Duppiai. "Sala", infatti, presso i lonngobardi, è la casa, l'azienda di campagna.
Evo Moderno
A partire dal XV Secolo la Repubblica di S. Marco garantì a Farra tre secoli di tranquillità a causa dell'interessamento veneziano all'utilizzazione del legname del Cansiglio, anche se si arrogò lo sfruttamento del "Bosco Da Reme di S. Marco", sottraendone i diritti alle comunità alpagote, impiegò spessissimo manodopera della conca. La corporazione dei "remeri" non doveva mai lasciare mancare il legname all'Arsenale e provvedere ai tagli e alle condotte. Anche i farresi collaboravano: nel 1768 fu costituita la 13° compagnia di arboranti, composta da dodici capi conduttori da Farra e da altri subalterni.
Nel 1625 la parrocchia di Farra si staccò da quella di Pieve, rimanendo anche in questo periodo dipendente dal comune nobiliare di Belluno. Le decime dovevano essere versate al Vescovo di Belluno , pena la scomunica, come successe a Giovanni Peterle il 9 settembre 1580.Tra il 1600 ed il 1700 il comune conosce una fortuna economica.